Il gioco del cerino non funziona più. Così, dopo aver perso tempo e rinviato il problema, ora siamo vittime designate degli ultimatum e ci lamentiamo. L’odissea delle pensioni ci costringe a raccogliere la patata bollente che una classe politica e di governo ha preferito ignorare, spedendola ai governi successivi.
Ora il tempo è scaduto e dobbiamo fare i conti con le nostre rimozioni e pigrizie. Due sono le condizioni per affrontare con serietà e autorevolezza la prossima bomba previdenziale: la prima è che con le pensioni non si può fare cassa, dirottandone i risparmi a tappare i buchi del debito pubblico; la seconda è che le pensioni non possono essere oggetto di scontro elettorale, perché sono un patrimonio comune al di sopra degli interessi di consenso particolare. E invece sta succedendo ilcontrario. Di pensioni si muore, e lo sanno bene molti governi, nazionali e internazionali. Ma di pensioni si può vivere, se vengono introdotte riforme strutturali. Fa impressione il silenzio assordante sui cambiamenti avvenuti: dal gennaio 1996 è cambiato il mondo delle pensioni, con l’arrivo del metodo contributivo, che ha introdotto un «conto corrente» individuale.
I nostri nonni e padri sono andati in pensione con il metodo retributivo, di gran lunga più generoso. Ma non si devono sentire in colpa: non hanno rubato nulla, se hanno lavorato 35-40 anni. Perché mai dovrebbero sentirsi dei malfattori? C’è poi l’altro paradosso, quello dell’età che si allunga, per fortuna: mentre oggi c’è chi addita al pubblico ludibrio chi, dopo essere andato in pensione, ha l’improntitudine di vivere altri 27-30 anni. Sono questi i guastatori del sistema previdenziale? Un mondo capovolto non riconosce i colpevoli.
Le colpe stanno in una incapacità di gestire e in una scarsa autorevolezza e credibilità politica. I nemici delle pensioni sono gli evasori contributivi. Sono i politici e i parlamentari, con le loro orrende regalìe di casta. Sono coloro che non informano che il mondo previdenziale è cambiato e che bisogna correre ai ripari (le prossime generazioni avranno in pensioni meno del 50% del loro reddito e, se hanno la disavventura di essere atipici e precari, lo vedranno assottigliarsi sino al 35%); e coloro che fingono di non sapere che le attuali pensioni le pagano soprattutto i giovani intermittenti e gli immigrati (insieme versano quasi 20 miliardi di contributi e ne riscuotono una minima parte in pensioni). Certamente tra i colpevoli vi sono coloro che hanno permesso lo scandalo delle baby pensioni dei pubblici dipendenti e i facili prepensionamenti del passato.
Oggi dobbiamo costruire l’agenda delle vere riforme previdenziali, ma non possiamo inventare i numeri della nuova età pensionabile e farlo in 24 ore. Non si possono gestire i conti delle casse pensionistiche solo tamponando le uscite, prorogando di 12-18 mesi i termini del diritto. La previdenza è come una grande vasca, in cui un rubinetto versa 10 litri d’acqua al minuto, mentre ne escono per effetto di una falla almeno il doppio: la vasca prima o poi si svuoterà. E’ questa la bomba previdenziale.
Non ci si può solo occupare delle uscite e punire chi oggi è vicino alla pensione; bisogna rovesciare lo sguardo e puntare sulle entrate. E i risparmi che si ottengono dalle permanenze forzate devono ritornare alle casse previdenziali e non tappare le falle del debito pubblico. Bisogna collegare riforma delle pensioni, politiche del lavoro e dello sviluppo. Per salvare le casse bisogna fare entrare nuove risorse, alimentarle con energie vitali. I risparmi devono servire a facilitare le assunzioni di giovani e di donne, aiutando le imprese e offrendo servizi e asili. E’ un Welfare capovolto quello che ci troviamo di fronte. Ci vuole serietà e autorevolezza. Invece sembra che le classi che governano pensino a salvare se stesse piùche a costruire il futuro. |