L’Ospedale al contrario di Vania Cirese
“L’Ospedale al contrario”. Avv. Vania Cirese da http://www.lasanita.it/
29 gennaio 2010
Fine settembre 1865: Elizabeth Garrett diventa la prima donna medico in Gran Bretagna. Una data d’importanza storica, il coronamento di un sogno, ma anche un’impresa titanica.
Oppressa dal clima reazionario che si respirava in epoca vittoriana Elizabeth, figlia del gestore di un banco di pegni, si era innamorata dell’idea di intraprendere la professione medica dopo aver incontrato Elizabeth Blackwell, la prima donna medico statunitense, ma dovette affrontare la forte opposizione dei suoi genitori. Dopo aver tentato invano (la sua domanda veniva cestinata perché era donna) di iscriversi alle più importanti Medical School della sua epoca, la Garrett fu costretta ad arruolarsi come infermiera al Middlesex Hospital, e una volta là cercò di seguire tutte le lezioni di Medicina possibili, quando i colleghi uomini glielo permettevano, e succedeva ben poche volte. Nel 1865 si presentò come privatista all’esame della Society of Apothecaries e riuscì a superarlo: la notizia suscitò un tale vespaio di polemiche che da allora l’accesso alla professione fu ufficialmente vietato alle donne.
Il primo atto da medico di Elizabeth Garrett fu l’apertura di un ambulatorio per donne, ma per vedere riconosciuto il suo diritto all’iscrizione al British Medical Register dovette recarsi a Parigi, dove circolavano idee più progressiste, per iscriversi all’Ordine. Di ritorno a Londra, fondò a sue spese il New Hospital for Women, con staff interamente femminile.
L’impatto della struttura sull’immaginario collettivo e il suo successo furono talmente forti e profondi da cambiare per sempre la storia della Medicina.
Volutamente ho iniziato questa breve esposizione da un episodio fondamentale della storia delle donne nella professione medica. Episodio esemplificativo della difficoltà dell’universo femminile a coniugarsi ed inserirsi in un mondo, quello medico, per molti versi recalcitrante ad aprirsi completamente “all’altra metà del cielo”.
Le donne medico sono brillanti e veloci negli studi, stanno superando per numero i colleghi maschi e risultano sempre più presenti negli organici aziendali. Eppure ancora poche raggiungono ruoli di prestigio.
Recentemente ho letto che “nei prossimi anni la professione medica sarà declinata al femminile e l’intera organizzazione del lavoro andrà rivista”. Già oggi le donne sono la maggioranza (60%) tra gli iscritti a Medicina e Chirurgia, concludono gli studi brillantemente (punteggio medio 107/110) e rapidamente (26,5 anni l’età media alla laurea) e nella fascia d’età 25-40 anni hanno superato i maschi per iscritti agli albi.
Ciononostante il cosiddetto “soffitto di cristallo” continua a schiacciarle e ancora oggi le donne medico sono costrette a orientarsi verso le specialità che permettono di conciliare vita lavorativa e famiglia. Rinunciano spesso alla chirurgia generale e optano per la medicina generale, la pediatria e l’odontoiatria.
Forte anche la presenza femminile in branche come la neuropsichiatria infantile, l’allergologia, la ginecologia e l’ostetricia. Il 44% delle dottoresse “under 35” non sono sposate, così come non lo sono il 17% delle donne medico tra i 36 e i 50 anni, mentre gli uomini non sposati nella stessa fascia d’età sono pochissimi; quanto poi a quelle coniugate e con un figlio, risultano il 73,6% contro il 90,5% dei colleghi maschi, e la percentuale scende vertiginosamente al 45% per le donne con due figli, contro il 73,6% degli uomini. Anche l’occupazione di ruoli di vertice è condizionato: tra i dipendenti del Ssn si registra infatti solo l’11,3% di primari donna.
Ogni giorno piccole, gigantesche donne-medico, affrontano la vita professionale in modo straordinario e acrobaticamente riescono a conciliarla con la vita privata. Questa realtà traspare interamente dala legge italiana che le riguarda.
Nei paesi moderni la legge tradizionale può giocare un ruolo fortemente repressivo nei confronti della donna mantenendola in uno stato di inferiorità, come nel caso dell’Italia poichè la legge sanitaria „in rosa“ è chiara espressione di una colpevole posizione discriminatoria. Ricordiamo che davanti alla fragilità del mondo femminile , gli stessi padri costituenti sentirono la necessità di formalizzare la tutela della donna lavoratrice esplicitando all’art. 37 – La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una sua adeguata protezione, ciò per assicurare la salvaguardia dei valori primari sociali a livello costituzionale quali la libertà (art. 2); l’eguaglianza (art. 3); il dititto al lavoro (art. 4); la famiglia (artt. 29 e 30); la tutela del lavoro (art. 35).
É necessaria una moderna disciplina per tutelare i diritti fondamentali secondo le preziose linee guida dell’UE, ricordando che la libera circolazione delle persone è una delle libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario (art. 39 Trattato CE). Inoltre la direttiva 2005/36 CE sancisce il riconoscimento delle qualifiche professionali in previsione dello stabilimento in un altro Stato membro. La libera circolazione degli studenti e dei lavoratori contribuisce a garantire che il personale sanitario possa recarsi dove vi è bisogno; la sua unica preoccupazione deve essere quella di tutelare il bene-vita e non di dovere superare frontiere geografiche. Le disposizioni comunitarie adottano il termine „personale“ senza distinzione tra i sessi poichè la parità tra uomo e donna costitusce un diritto fondamentale, un valore comune all’UE ed una condizione necessaria per il conseguimento degli obiettivi europei di crescita, occupazione e coesione e sociale. La normativa italiana riflessa nella vita pratica della donna medico segna, al contrario, la linea della discriminazione, impedendo al sesso femminile di potere liberamente e nel rispetto della dignità professionale, esercitare la vocazione medica ovunque il paziente necessiti di cure.
Occorre abbattere le barrire giuridiche con politiche non miopi e di concerto con le autorità dell’UE e gli altri stati membri, sostenendo programmi ed incentivi per il personale femminile e favorendone la mobilità.
È proprio in questi termini che oggi si pone in Italia il problema della positivizzazione e della relativizzazione dei diritti o, se si vuole, quello del rapporto costitutivo tra quei diritti ed il loro riflesso nell’attuale legislazione sanitaria in rosa“.
L’obiettivo della parità tra donne e uomini prevede una serie di azioni in materia di:
- pari indipenza economica;
- normativa per migliorare la conciliazione tra vita professionale, famiglia e vita privata;
- gestione della mobilità del personale sanitario all’interno dell’UE.
É dunque necessaria una svolta culturale e organizzativa con una revisione degli schemi di lavoro.
Quali sono allora le nuove prospettive per le dottoresse? L’aumento di numero delle donne nelle fasce di età più basse (30-35 anni), e soprattutto all’Università porterà certamente nel tempo a una crescita delle donne anche a livello apicale; di sicuro una maggiore rappresentatività di donne nei posti decisionali catalizzerà una maggior presenza in tutti i vertici. Nello svolgimento dei concorsi non bisogna perdere di vista la meritocrazia, a prescindere dal genere; è importante che aumentino figure di spicco, che possano avere una funzione di stimolo verso le colleghe più giovani; è indispensabile una maggior informazione agli studenti degli ultimi anni degli studi universitari: presi dallo studio di materie scientifiche difficili e impegnative, siano tutti poco informati dei problemi di genere, sulle presenze delle donne, sull’evoluzione della carriera, ma anche solo su problemi di previdenza.
La situazione non è diversa a livello europeo: sebbene le donne rapprentino la maggioranza degli studenti e dei laureati,il loro tasso occupazionale è nettamente inferiore rispetto agli uomini;le donne continuano a guadagnare in media il 15% in meno degli uomini per ogni ora lavorativa.
Va chiarito che se da un lato non si può condividere un trattamento premiativo del ruolo donna-mamma-medico, dall’altro canto non si può consentire disincentivi per quella parte del mondo femminile desideroso di essere portatore di garanzia del bene-salute e del bene vita nel pieno rispetto della dignità professionale.
Bisognerebbe facilitare il percorso delle donne medico che non rinunciano a famiglia e figli.
Sono necessarie sostituzioni immediate delle professioniste che si assentano per gravidanza; flessibilità di orari per quelle che hanno figli da accudire, asili nido, congedi parentali per i padri.
L’annuncio di gravidanza non deve essere un dramma per il reparto ma un momento di solidarietà.
Lo stesso vale per le donne medico libere-professioniste o di medicina generale.
Peraltro in merito all’assistenza sanitaria, vale la pena evidenziare che costituisce uno dei settori più significativi dell’economia dell’UE . Per questo l’orientamento comunitario prevede una politica garantista sul fronte salute. Il settore vuole e deve avere attenzione in ogni sua manifestazione patologica tra cui quella della rappresentanza femminile. Sono stati elaborati codici di condotta sulla base di principi etici per ridurre il rischio di assunzioni non meritocratiche nel sistema sanitario. Sia la Norvegia che i Paesi Bassi hanno elaborato strategie della forza lavoro che prevedono politiche di assunzione sulla base di principi etici, con particolare riguardo alla professione medica femminile. A livello comunitario, nel 2008 il comitato per il dialogo sociale europeo nel settore ospedaliero ha adottato un „Codice di condotta dell’assunzione trasfrontalera sulla base di principi etici e della conservazione. Questo deve riguardare ancora di più le donne medico.
Quali saranno nei prossimi anni gli ambiti della medicina e della chirurgia in cui le donne troveranno maggiori opportunità occupazionali e di carriera? Attualmente sembra esserci una minor confidenza con le specialità che trattano acuti, con quelle branche che utilizzano alte tecnologie e con le chirurgie in genere. Non dobbiamo dimenticare che la femminilizzazione della medicina si accompagnerà a una riduzione numerica dei medici in generale, perché molti raggiungeranno l’età pensionabile nei prossimi 10 anni, e diverrà necessario che tutte le branche della medicina possano essere coperte indifferentemente dal genere dei nuovi medici.
Occorre quindi:
1. investire nella formazione e nell’assunzione di personale femminile per raggiungere l’autosufficienza al livello nazionale e comunitario, contrastando l’emigrazione sanitaria;
2. incoraggiare accordi trasfrontalieri sulla formazione e scambi di personale femminile, agevolando e prevedendo possibili emorrargie di personale sanitario;
3. promuovere il movimento „circolare“ del personale
4. creare una piattaforma a livello UE per lo scambio di esperienze tra quadri.
Alla parità tra uomo e donna è dedicato un ampio corpus legislaivo europeo riguardante:
1. l’accesso occupazionale;
2. la parità retributiva;
3. la protezione della maternità;
4. il congedo parentale;
5. l’onere della prova nei casi di discriminazione
Tutto questo appare molto corretto se non fosse che, non molto tempo fa, è apparso sul Corriere della Sera un articolo emblematico: “La federazione degli ordini di categoria: dobbiamo trovare rimedi. I dottori nel 2017: maschi solo 2 su 10. «Sempre meno chirurghi e urologi»”.
Le fobie e i timori dei componenti della federazione degli ordini dei medici sembravano essenzialmente rivolte, ancora una volta, su questioni di carattere sessuale. Si faceva esplicito riferimento, infatti, all’imbarazzo dell’uomo di fronte ad un’urologa che si appresti a controllare lo stato della prostata o a prescrivere medicinali contro l’impotenza, così come tornava in auge l’antico tema della incapacità della donna ad eseguire interventi chirurgici in quanto soggetta a sbalzi ormonali che ne condizionerebbero l’affidabilità.
Si faceva riferimento a quello che veniva definito “l’ospedale al contrario”, quello in cui vi sarebbero donne con il camice bianco e infermieri uomini.
Al di là delle tante belle parole spese, a piene mani, in convegni e riunioni, forse bisognerebbe riflettere sul fatto che la morale corrente, il pensiero ancora diffuso sia quello che vede le donne relegate alle professioni di cura e di assistenza.
Tuttavia, questa “provocazione” ci permette di andare oltre: se mai vi sarà un “ospedale al contrario”, sarà solo perché le donne avranno raggiunto un livello di scolarizzazione e di qualificazione professionale superiore a quello maschile, considerati gli ostacoli posti dagli ordini professionali e dai concorsi ospedalieri per l’accesso alle professioni, ostacoli surrettizi che mascherano vere e proprie preferenze nei confronti del genere maschile e quindi discriminazioni di tipo indiretto. Le donne non devono solo essere brave e competenti, devono esserlo due volte per avere pari possibilità.
Ma il problema non riguarda, purtroppo, soltanto le donne medico: è un problema “trasversale” del mondo del lavoro femminile. Negli ultimi mesi ci ha superato anche la Grecia e dopo di noi resta solo Malta. In Italia riesce a lavorare solo il 46,3 per cento delle donne; sette milioni in età lavorativa sono fuori dal mercato del lavoro; al sud il tasso di occupazione crolla al 34, 7 per cento.
Si continua a menzionare, poi, “il tetto di cristallo”, quella sottile, trasparente ma robustissima pellicola che divide le donne dai posti che contano, li possono sfiorare ma mai afferrare: lo chiamavano così dieci, quindici, venti anni fa; è sempre lì, cristallo puro, infrangibile, beffardo.
L’uguaglianza tra uomini e donne costituisce un diritto fondamentale previsto dal trattato CE e una politica prioritaria dell’Unione. Malgrado i progressi compiuti, si può e si deve fare ancora molto sia dal punto di vista della vita professionale che della vita privata.